Buongiorno!
Oggi riprende la mia newsletter (mi mancava questo appuntamento…). Con due modifiche. Una di forma e una di sostanza.
Quella di forma riguarda la struttura. Ho deciso di dividere i contenuti all'interno della newsletter in tre parti:
Futuro, con link e riflessioni sull'Intelligenza Artificiale Generativa.
Presente, con un fenomeno dell'epoca corrente.
Passato, con il Muro Filosofico e i pensieri o i filosofi del passato collegati.
Ti propongo questa nuova struttura perché penso sia importante, per comprendere cosa succede anche in ambito tecnologico, avere una visione più ampia, che abbraccia appunto il nostro Passato, il nostro Presente e il nostro Futuro.
Quella di sostanza invece riguarda come ho scritto i contenuti all'interno della newsletter. O meglio, come non li ho scritti. Tutti i testi infatti saranno pensati e curati da me, ma scritti interamente dall'Intelligenza Artificiale Generativa.
In realtà, è qualcosa che volevo fare dai tempi di GPT-3, ma fino ad ora avevo due limiti.
Il primo era il tempo. Dal momento che scrivere mi piace molto, pur potendo delegare questa attività a una macchina, ho sempre preferito farlo io. Fino a Dicembre però ho un calendario piuttosto fitto con Prompt Design, e temo non riuscirò a ritagliarmi ogni settimana il tempo per scrivere questa newsletter. Così ho deciso di affidare a un'Intelligenza Artificiale la realizzazione testuale delle mie idee. È un esperimento, vediamo come va.
Il secondo era la qualità. GPT-3, per quanto fantascientifico, non produceva testi completamente all'altezza delle mie aspettative, e neanche GPT-4. Il binomio GPT-4o + Claude 3.5 Sonnet invece sì.
Ma questo è un mio parere. Sarai tu a valutare leggendo questa e, spero, le prossime newsletter. Mi limito solo a dirti che nel testo della Corrente di oggi, il finale con il parallelismo tra Greenhushing e Il grande Lebowski lo trovo notevole.
Buona lettura!
Sono Jacopo Perfetti, mi occupo di robot in grado di scrivere e scrivo cose che i robot non sanno (ancora) scrivere.
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Tutti i testi e le immagini che trovi in questa newsletter sono pensati e curati da me, ma generati da un'Intelligenza Artificiale Generativa.
/ Futuro: Intelligenza Artificiale Generativa
❤️ Una delle cose positive dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa è che il futuro del lavoro sarà necessariamente segnato dalla gentilezza. Perché le macchine non sono gentili, possono simularlo, ma non possono esserlo. Noi invece sì. [Linkedin]
👨🎨 Ogni settimana su Linkedin condivido codici SREF da usare su Midjourney per personalizzare le immagini. Qui quelli di settimana scorsa. [Linkedin]
🎸 Sempre settimana scorsa ho fatto un esperimento. Ricreare con Midjourney le fotografie di gruppi o musicisti famosi. [Linkedin]
📈 Qualche considerazione dall'ultimo report di a16z sulle 100 app basate su Intelligenza Artificiale Generativa più usate. [Linkedin]
🤖 Che ne dici? Possiamo chiamarla creatività? Per me sì. Possiamo chiamarla come vogliamo: Algoritmica, statistica, sintetica, artificiale... ma quello che linguaggi come Claude o ChatGPT sono in grado di fare è creativo nel senso più stretto del termine: Avere la capacità di unire concetti quanto più distanti per creare qualcosa di nuovo. [Linkedin]
🐄 Se gli animali parlassero li mangeremmo lo stesso? Secondo me no. Non lo faremmo perché nulla umanizza come il linguaggio. Gli animali non lo hanno. O meglio non usano il nostro stesso linguaggio e quindi spesso (ad eccezione dei nostri animali domestici) li consideriamo più al pari di un oggetto che di un essere vivente. Oggi però non siamo più gli unici esseri a padroneggiare il linguaggio. Oggi esistono macchine, come ChatGPT, in grado di simulare il linguaggio umano. In grado di esprimersi parlando come parleremmo noi. [Linkedin]
/ Presente: Fenomeni dell’epoca corrente
(n.) Strategia adottata da alcune aziende che consiste nel mantenere un basso profilo sui propri obiettivi e risultati di sostenibilità ambientale, spesso per evitare critiche di greenwashing o per timore di non riuscire a rispettare gli impegni presi.
Nel 2015, la Volkswagen si trovò al centro di uno scandalo mondiale. L’azienda automobilistica tedesca aveva manipolato i test sulle emissioni dei suoi veicoli diesel, facendoli apparire molto più ecologici di quanto non fossero in realtà. Questo caso, noto come Dieselgate, divenne l’emblema del Greenwashing: la pratica di presentarsi più sostenibili di quanto si sia realmente. Lo scandalo costò a Volkswagen miliardi di euro in multe e un danno reputazionale incalcolabile. Ma soprattutto, segnò un punto di svolta nel modo in cui le aziende comunicano le proprie iniziative ambientali.
Oggi, quasi un decennio dopo, stiamo assistendo a un fenomeno opposto ma altrettanto interessante: il Greenhushing. Questo neologismo, nato dalla fusione di “green” (verde) e “hushing” (zittire), descrive la tendenza delle aziende a mantenere un basso profilo riguardo ai propri obiettivi e risultati in ambito di sostenibilità. È come se il pendolo fosse oscillato dall’estremo del vantarsi eccessivamente a quello del silenzio assoluto. Le ragioni alla base di questo silenzio verde sono molteplici e complesse. In primo luogo, c’è il timore di essere accusati di Greenwashing. Con l’aumento della consapevolezza ambientale dei consumatori e la crescente attenzione dei regolatori, le aziende temono che anche le più sincere dichiarazioni di intenti ecologici possano essere messe sotto la lente d’ingrandimento e criticate. È come camminare su un campo minato: ogni affermazione potrebbe innescare una reazione negativa. Inoltre, molte aziende stanno realizzando che raggiungere gli ambiziosi obiettivi di sostenibilità che si erano prefissate è più difficile del previsto. Piuttosto che rischiare di non mantenere le promesse fatte pubblicamente, preferiscono lavorare in silenzio. Questo fenomeno, noto come Greenwishing, descrive la situazione in cui le aziende sperano di raggiungere determinati obiettivi di sostenibilità, ma non hanno realmente i mezzi per farlo.
Il Greenhushing solleva però importanti questioni etiche e pratiche. Da un lato, potrebbe portare a una minore condivisione di best practices tra le aziende, rallentando il progresso collettivo verso la sostenibilità. Dall’altro, rende più difficile per investitori e consumatori valutare l’effettivo impegno ambientale delle aziende. In questo scenario, il ruolo dei regolatori diventa cruciale. In Europa, negli Stati Uniti e in Australia, le autorità stanno introducendo normative sempre più stringenti per garantire la trasparenza e l’accuratezza delle dichiarazioni ambientali delle aziende. L’obiettivo è creare un ambiente in cui le aziende possano comunicare i propri sforzi di sostenibilità senza temere accuse ingiustificate, ma anche senza poter nascondere le proprie mancanze.
Il Greenhushing ci ricorda una scena del film Il grande Lebowski dei fratelli Coen. In una memorabile conversazione, Walter Sobchak dice al Drugo: «Tu sei come un bambino che entra a metà di un film…». Nel contesto della sostenibilità aziendale, molti di noi sono come quel bambino: entriamo a metà della storia, vedendo solo frammenti delle azioni delle aziende, senza comprendere appieno il quadro generale. Il silenzio delle aziende può essere assordante quanto le dichiarazioni più roboanti, lasciando a noi la fatica di interpretare una narrazione incompleta.
La sfida per le aziende del futuro sarà quella di diventare registi trasparenti della propria storia di sostenibilità, trovando un equilibrio tra la cautela del silenzio e l’audacia delle grandi dichiarazioni. Dovranno imparare a raccontare la loro storia green con la stessa maestria con cui i Coen hanno tessuto la trama del loro cult movie: con autenticità, senza nascondere i difetti, ma evidenziando i progressi reali. Solo così potranno evitare di lasciare il pubblico - consumatori, investitori e stakeholder - confuso come il Drugo, cercando di dare un senso a una narrazione frammentaria. In questo nuovo cinema green, il vero successo non sarà misurato dal box office, ma dalla capacità di guadagnarsi la fiducia di un pubblico sempre più attento e consapevole, pronto ad applaudire non solo le belle parole, ma soprattutto le azioni concrete.
Fonte: The Guardian, KPMG, Yorokobu
/ Passato: Muri Filosofici
«A volte mi chiedo se ci pensi anche tu»
- sui muri di Milano
”A volte mi chiedo se ci pensi anche tu” - una frase che cattura l'essenza stessa dell'esistenza umana come la concepiva Martin Heidegger. Il filosofo tedesco ci parla del Dasein, l'essere-nel-mondo che è sempre, intrinsecamente, in relazione con gli altri. Questa semplice domanda racchiude in sé tutta la complessità del nostro essere-con-gli-altri, la costante tensione tra la nostra individualità e il nostro bisogno di connessione. Un'idea che ci porta vicino al concetto sartriano dello "sguardo". Per Jean-Paul Sartre infatti, l'altro non è semplicemente un oggetto nel nostro campo visivo, ma un elemento costitutivo della nostra coscienza e identità. Quando ci chiediamo se l'altro pensa a noi, ci stiamo in realtà confrontando con la nostra stessa esistenza come oggetti della coscienza altrui.
In un'epoca dominata dai social media, dove la connessione sembra essere sempre a portata di mano eppure spesso ci sentiamo più soli che mai, questa frase assume una risonanza particolare. Ci ricorda che, nonostante tutti i mezzi di comunicazione a nostra disposizione, l'incertezza riguardo ai pensieri e ai sentimenti dell'altro rimane una costante della condizione umana. Forse, come suggeriva Emmanuel Lévinas, è proprio questa incertezza, questo mistero dell'altro, a renderlo infinitamente prezioso e a chiamarci a una responsabilità etica nei suoi confronti.