Buongiorno!
Come ti è sembrata la newsletter generata dall’IA che ti ho proposto settimana scorsa? Ho ricevuto diversi feedback, per lo più positivi, o sorpresi dal fatto che i testi fossero scritti interamente da una macchina. Ma è così. Io li ho pensati e una tecnologia li ha scritti seguendo le mie indicazioni.
A pensarci è veramente al limite del fantascientifico. È come avere un assistente sempre disponibile (e sempre più bravo) in grado di dare forma alle nostre idee.
Da anni scrivo che mi occupo di robot in grado di scrivere e scrivo cose che i robot non sanno (ancora) scrivere. Questa parentesi "(ancora)" è sempre più stretta. L'Intelligenza Artificiale Generativa migliora ogni giorno a una velocità che, devo ammettere, può spaventare.
Secondo una ricerca di McKinsey, prima dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale Generativa si prevedeva che l’IA avrebbe raggiunto un livello di creatività pari a quello del Quartile Superiore nel 2065. Dopo tre anni, siamo scesi al 2031. Abbiamo perso tre decadi di vantaggio competitivo in tre anni.
Personalmente la vivo come una sfida. Più la macchina diventa "creativa" più io voglio essere creativo. Se ho un'idea chiedo a ChatGPT o a Claude di generarne una simile e se la sua è migliore della mia, allora so che posso fare di meglio.
È qualcosa che dovremmo fare ogni volta che abbiamo un’idea, perché, dal mio punto di vista, il problema non è se l’Intelligenza Artificiale Generativa diventerà sempre più creativa, ma se noi esseri umani lo saremo sempre meno.
Buona lettura!
Sono Jacopo Perfetti, mi occupo di robot in grado di scrivere e scrivo cose che i robot non sanno (ancora) scrivere.
Qui puoi iscriverti al mio corso "Prompt, Chi Parla?", usa il codice N30 per avere il 30% di sconto.
Tutti i testi e le immagini che trovi in questa newsletter sono pensati e curati da me, ma generati da un'Intelligenza Artificiale Generativa.
/ Futuro: Intelligenza Artificiale Generativa
🍔 Questa settimana ho fatto un esperimento con Midjourney per valutare tanto i Bias di questo modello, quanto la capacità di un Brand o un personaggio pubblico di essere un Go-To-Brand, ovvero di essere la prima persona o il primo brand che viene in mente per il suo settore specifico. Spoiler: Trump vince il Contest di Go-to-President. [Linkedin]
🐥 Con l'immagine generata dall'IA che ha postato sul suo profilo Instagram, Donald Trump ha voluto dare un chiaro sostegno a tutte quelle persone che come lui pensano di poter dire quello che vogliono e spacciarlo per vero solo perché hanno un mezzo per farlo, che sia questo un Social come Facebook o un'Intelligenza Artificiale per generare immagini. E purtroppo, queste persone sono sempre di più. [Linkedin]
👨🎨 Ogni settimana su Linkedin condivido codici SREF da usare su Midjourney per personalizzare le immagini. Qui quelli di settimana scorsa. [Linkedin]
⏳ Quei 21 secondi che fanno bene a ChatGPT (e anche a noi). [Linkedin]
💪 Penso che la fatica sia una competenza fondamentale da insegnare a un bambino o una bambina. Anche se non ho idea di come farlo. Se saprà fare la fatica di immaginare storie, soluzioni e progetti, avrà a disposizione una tecnologia che potrà supportarlo nelle sue idee. Se invece si arrenderà alla facilità di avere una macchina che può immaginare per lui, allora la sua immaginazione passerà presto. [Linkedin]
⌚️L'innovazione spaventa. E talvolta tendiamo a minimizzare, se non ridicolizzare quello che potrebbe cambiare quell'area di comfort dove ci siamo abituati a vivere e lavorare. Penso sia un naturale istinto di sopravvivenza. Oggi vedo una tendenza simile nel settore dell'Advertising e della creatività, rispetto all'Intelligenza Artificiale Generativa. [Linkedin]
👨💻 La formula magica della produttività: (LAVORO + AI - CALL) = 10X [Linkedin]
/ Presente: Fenomeni dell’epoca corrente
(n.) Modello relazionale in cui coppie impegnate a lungo termine scelgono di vivere in abitazioni separate, mantenendo una relazione intima e profonda senza condividere lo stesso tetto. Il fenomeno riflette il desiderio contemporaneo di bilanciare la connessione emotiva con la necessità di spazi personali e autonomia, sfidando il concetto tradizionale di convivenza come unico modello di relazione seria.
Immagina di svegliarti ogni mattina nel tuo letto, poi alzarti, preparare il caffè esattamente come piace a te, e poi... mandare un messaggio d’amore al tuo partner che si trova a qualche isolato di distanza, nel suo appartamento, a bere il suo caffè esattamente come piace a lui o a lei. Ed eccoci quindi nell’era del «Living Apart Together» (L.A.T.), l’ultima frontiera delle relazioni moderne dove l’amore non significa necessariamente condividere lo stesso tetto (e lo stesso letto).
L’acronimo L.A.T. viene usato per descrivere coppie completamente impegnate in una relazione a lungo termine che scelgono però di vivere in abitazioni separate. Non si tratta di una novità assoluta - coppie famose come Frida Kahlo e Diego Rivera o Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre facevano lo stesso - ma oggi sta emergendo come una tendenza sempre più diffusa e consapevole.
Questa scelta di vita riflette una società in profonda trasformazione, dove l’individualità assume un ruolo centrale anche all’interno delle relazioni più intime. È l’espressione di un paradosso contemporaneo: il desiderio di connessione profonda unito a un bisogno sempre più pressante di spazi personali e di autonomia.
Il movimento L.A.T. è sintomatico di un’epoca in cui l’individualità connessa regna sovrana. Viviamo in un mondo dove condividiamo più che mai - pensieri, emozioni, esperienze - attraverso social network e piattaforme digitali, eppure spesso ci sentiamo profondamente soli. In questo contesto, la scelta di «vivere insieme distanti» emerge come un tentativo di bilanciare il bisogno di intimità con quello di indipendenza.
Le coppie L.A.T. infatti sfidano il concetto tradizionale di convivenza come unico modello di relazione seria. Scelgono di preservare i propri spazi fisici ed emotivi, evitando le classiche tensioni legate alla gestione della casa o alle abitudini quotidiane divergenti. Allo stesso tempo però, mantengono un legame profondo e un impegno reciproco, dimostrando che la vicinanza emotiva non dipende necessariamente dalla prossimità fisica.
Tuttavia, questa tendenza solleva interrogativi profondi sulla natura delle relazioni moderne. Siamo di fronte a una forma evoluta di amore, capace di superare le costrizioni della convivenza tradizionale? O è piuttosto il sintomo di una società sempre meno capace di gestire il compromesso e la condivisione quotidiana?
Questo fenomeno infatti potrebbe essere visto come l’ennesima manifestazione di una società individualista che fatica a conciliare il desiderio di connessione con la paura dell’interdipendenza. In un mondo dove siamo sempre connessi e visibili, il vivere separatamente insieme offre un rifugio, uno spazio di decompressione dove essere completamente se stessi. D’altra parte, questa tendenza potrebbe anche rappresentare una maggiore consapevolezza dei propri bisogni e limiti, un modo maturo di approcciarsi alle relazioni riconoscendo che l’amore non richiede necessariamente la fusione totale delle vite.
Il fenomeno del Living Apart Together diventa così uno specchio delle contraddizioni della nostra epoca e, mentre le coppie insieme-separate navigano questo nuovo territorio relazionale, ci offre uno spunto di riflessione su cosa significhi davvero essere insieme nel XXI secolo. Forse, in un mondo sempre più interconnesso ma paradossalmente isolato, la vera sfida non è tanto vivere sotto lo stesso tetto, quanto trovare modi autentici per connettersi, rispettando al contempo l’individualità di ciascuno.
Fonte: Pop Sugar
/ Passato: Muri Filosofici
«È da oggi che non ci vediamo»
- sui muri di Venezia
Un frase che Maurice Merleau-Ponty, nel suo approccio fenomenologico, potrebbe interpretare come un'esplorazione della percezione e della relazione con l'altro. Questa frase suggerisce una sorta di assenza presente, un'esperienza paradossale in cui la mancanza di contatto visivo non implica una separazione totale. Merleau-Ponty, con la sua enfasi sulla corporeità e l'intersoggettività, potrebbe vedere in questa frase un'espressione del modo in cui la nostra esperienza del mondo e degli altri è mediata dalla nostra percezione sensoriale.
Se invece spostiamo la nostra attenzione sul tema del tempo, penso che Martin Heidegger potrebbe utilizzare 'È da oggi che non ci vediamo' per esplorare il concetto di 'Dasein', o essere-nel-mondo. Questa frase potrebbe riflettere la natura temporale dell'esistenza umana e la nostra relazione con il tempo. Heidegger sottolinea l'importanza del tempo nella nostra comprensione dell'esistenza, e questa frase potrebbe essere interpretata come un'espressione della distanza temporale e della consapevolezza del passare del tempo nella relazione con l'altro.